giovedì 5 Dicembre 2024
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Permesso di costruire in deroga e silenzio assenso: nuova sentenza del TAR

L’istituto del silenzio-assenso non è applicabile alla diversa fattispecie della richiesta di rilascio di un permesso di costruire “in deroga al vigente PRGC”.

Lo ha chiarito la Sezione Seconda del Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte con la sentenza 27 febbraio 2018, n. 270 con la quale ha rigettato il ricorso presentato per l’annullamento di una deliberazione comunale, recante parere negativo sull’istanza di permesso di costruire in deroga, ex lege n. 106/2011, per la ristrutturazione di volumi edificati ed il cambio di destinazione d’uso da “attività produttiva di tipologia agro-industriale” a “residenziale”, con utilizzo della premialità del 10% della SUL.

I giudici del TAR hanno ricordato che il silenzio assenso, in materia edilizia, può formarsi con riferimento alla domanda di permesso di costruire qualora l’istanza sia conforme agli strumenti urbanistici. Non è, quindi, applicabile ai permessi di costruire in deroga, poiché questo implica non prescindibili valutazioni caratterizzate da ampia discrezionalità da parte del consiglio comunale.

Secondo il TAR, la formazione del silenzio-assenso sulla domanda di permesso di costruire postula, non soltanto l’avvenuta presentazione dell’istanza e il decorso del termine di conclusione del procedimento normativamente previsto, ma pure che l’istanza sia assistita da tutti i presupposti previsti per il suo accoglimento, e, in particolare, che essa sia conforme agli strumenti urbanistici vigenti.

Da tale principio consegue che l’operatività dell’istituto del silenzio-assenso nella materia edilizia deve ritenersi confinata all’ipotesi in cui la richiesta del privato abbia ad oggetto il rilascio di un permesso di costruire “ordinario”, in relazione al quale l’amministrazione si limita a verificare la conformità del progetto edilizio alla normativa di settore e alla strumentazione urbanistica vigente, attraverso un’attività sostanzialmente vincolata nei propri contenuti, avendo l’amministrazione già esaurito la propria discrezionalità in sede pianificatoria, all’atto di redigere lo strumento urbanistico.

Per contro, l’istituto del silenzio-assenso di cui all’art. 20 del Testo Unico dell’Edilizia non è applicabile alla diversa fattispecie della richiesta di rilascio di un permesso di costruire “in deroga al vigente PRGC” di cui all’art. 5 comma 9 del D.L. n. 70 del 2011, dal momento che in tal caso l’amministrazione, lungi dal limitarsi a verificare la mera conformità del progetto edilizio allo strumento urbanistico vigente, è tenuta a valutare, innovativamente e con amplissima discrezionalità, se sussistano i presupposti di interesse pubblico per modificare lo strumento urbanistico vigente; il che, tra l’altro, giustifica e impone l’intervento in seno al procedimento amministrativo dell’organo consiliare, al quale soltanto competono le scelte di carattere pianificatorio e programmatorio in seno all’amministrazione comunale.

Il parere del consiglio comunale previsto dall’art. 14 del D.P.R. n. 380 del 2011 (norma richiamata dall’art. 5 comma 9 del D.L n. 70/2011) non è soggetto a termini predeterminati, considerata l’ampiezza delle valutazioni di merito affidate all’organo consiliare, così come non è soggetto a termini predeterminati il procedimento di adozione e di approvazione dello strumento urbanistico generale e delle sue successive varianti.

In definitiva, secondo il TAR, la giurisprudenza è concorde nell’affermare che il permesso di costruire in deroga allo strumento urbanistico è un istituto di carattere eccezionale rispetto all’ordinario titolo edilizio e rappresenta l’espressione di un potere ampiamente discrezionale che si concretizza in una decisione di natura urbanistica, da cui trova giustificazione la necessità di una previa delibera del consiglio comunale; in tale procedimento il consiglio comunale è chiamato ad operare una comparazione tra l’interesse pubblico al rispetto della pianificazione urbanistica e quello del privato ad attuare l’interesse costruttivo, che assume peraltro rilievo pubblicistico nella misura in cui è volto a razionalizzare o a riqualificare aree urbane degradate; la decisione che ne scaturisce è espressione di discrezionalità molto lata sulla quale il sindacato del giudice deve mantenersi esterno e limitato a vizi sintomatici manifesti, quali l’illogicità o il travisamento del fatto, e non sostitutivo di valutazioni ontologicamente opinabili.

Altro punto toccato dalla sentenza riguarda il vizio dedotto dal ricorrente sulla presunta illegittimità della delibera consiliare che ha qualificato l’intervento come “nuova costruzione” invece che come “ristrutturazione edilizia”, sul presupposto che l’intervento comporterebbe un incremento di volumetria, incompatibile con la nozione di ristrutturazione. Secondo la parte ricorrente, tale condizione sarebbe soddisfatta perché l’intervento porterebbe “ad una riduzione della superficie coperta”.

Il TAR ha commentato il punto rilevando che la parte ricorrente pretenderebbe di derubricare a “ristrutturazione edilizia” la sostituzione di alcune serre con cinque villette residenziali per circa 20 unità abitative, con modifica non solo della destinazione d’uso, ma pure del vigente PRGC, con aumento esponenziale del carico urbanistico.

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