Sam, Hadryan, IF sono robot muratori in grado di costruire un edificio sei volte più veloce di una squadra umana. Un investimento di 500 mila dollari (nel caso di Sam) per una capacità produttiva di mille mattoni all’ora e 150 case medie all’anno. Si presumono essere i primi di una lunga serie e di nuove varietà che porteranno questo costo a ridursi sensibilmente. Va oltre Smart Briks, un robot che usa particolari “mattoni Lego” in grado di ridurre del 50% i costi di realizzazione.
Tutta italiana è, invece, Origami 5, la tecnologia proposta da Personal Factory: un robot in grado – in meno di sei metri quadrati – di produrre malte, intonaci, colle e altre miscele per l’edilizia direttamente sul cantiere, quando e quanto ne occorre, sotto il controllo di un server centrale che ne monitora i processi. Tale robot consente di tracciare ogni singolo sacchetto e di etichettarne la destinazione d’uso in cantiere. In sostanza si potrà personalizzare l’uso dei materiali rispetto alle caratteristiche d’impiego necessario.
In questo contesto si inserisce la stampa 3D. Dalle utopiche – per ora – case interamente stampate in digitale al più pragmatico impiego per la realizzazione di componenti parte di progetti più complessi (vedi il restauro di edifici storici) la stampa digitale inizia ad attirare l’interesse dell’industria delle costruzioni. In particolare è sull’applicazione in ambito Smart City che se ne intravedono le potenzialità, per la loro versatilità nella realizzazione di componentistica tecnologica integrata negli edifici, anche attraverso l’uso di materiali alternativi.
Nulla osta che, visti i ridotti costi di costruzione, esse possano risultare un’opzione utile per edilizia sociale o a basso costo, un bisogno sempre più emergente nel mercato abitativo. E’ il caso, ad esempio, di WaspGigaDelta, un progetto italiano molto interessante per la stampa 3D di case in argilla.