Il Comune può effettuare una revisione catastale per ragioni perequative, ma deve spiegare al contribuente perché il valore del suo immobile è aumentato, come è stato ricalcolato e, soprattutto, perché sarà chiamato a pagare tasse più elevate.
E’ quanto ha stabilito la Cassazione, con la sentenza 22671/2019, nell’ambito di un contenzioso tra un proprietario e l’Agenzia delle Entrate; la sentenza, detta una serie di regole per coniugare le esigenze di revisione catastale con la tutela del contribuente.
In Italia com’è noto gli immobili sono registrati al Catasto in diversi gruppi, che ne indicano la tipologia, la destinazione d’uso e la rendita. Le classi catastali sono degli indici che esprimono il grado di redditività di un immobile e sono determinate dall’Agenzia delle Entrate al momento della domanda di accatastamento (o in caso di variazione urbana).
In base al comma 335 della Legge 311/2004, in caso di notevole scostamento tra valore medio di mercato e valore medio catastale, il Comune può chiedere all’Agenzia delle Entrate la revisione parziale del classamento delle unità immobiliari di proprietà privata.
I giudici hanno spiegato che il presupposto per la revisione è che lo scostamento tra i due valori medi sia notevole, cioè almeno il 35%.
La rendita catastale di ciascuna unità immobiliare compresa nella microzona “anomala” potrà quindi essere aumentata in misura percentualmente corrispondente a quella necessaria e sufficiente per rendere il rapporto tra il valore medio di mercato ed il valore medio catastale delle unità immobiliari della microzona non superiore per più del 35% rispetto all’analogo rapporto relativo all’insieme delle microzone comunali.
Una volta accertati i presupposti per la revisione, il Comune deve dedurre e provare i parametri, i fattori determinativi ed i criteri per l’applicazione della riclassificazione alla singola unità immobiliare. Deve in sostanza dimostrare, spiega la sentenza, di aver perseguito “finalità meramente perequative e di riallineamento”. È inoltre necessario illustrare le operazioni compiute e i dati utilizzati per consentire al contribuente il controllo e la difesa da eventuali errori.
Nel caso esaminato dai giudici, il Comune aveva operato la revisione catastale di una zona in cui erano stati effettuati una serie di interventi di riqualificazione.
L’Agenzia delle Entrate aveva quindi inviato al proprietario un avviso di accertamento, che secondo la Corte d’Appello era legittimo dal momento che la zona era stata interessata da una consistente rivalutazione del patrimonio immobiliare e della redditività, dovuta anche alla diffusione di numerose attività commerciali.
Dal momento che le operazioni ed i calcoli effettuati dal Comune non risultavano chiari e sufficientemente motivati, la Cassazione ha accolto il ricorso del privato contro l’accertamento del Fisco.