Oggi per le imprese italiane è il “lunedì nero”: una giornata campale che accomuna aziende e popolo delle partite Iva. Tra versamento dell’Iva e ritenute Irpef di dipendenti e collaboratori, oggi tocca sborsare al fisco 26,9 miliardi di euro.
La stima è dell’Ufficio studi della Cgia di Mestre.
Oltre a questo importo, tutte le imprese dovranno versare i contributi previdenziali dei propri dipendenti ed eventuali collaboratori: gli artigiani, i commercianti e i lavoratori autonomi, inoltre, verseranno all’Inps anche i propri.
La pressione fiscale complessiva sulle imprese italiane, secondo gli ultimi dati della Banca Mondiale (Doing Business), ammonta al 59,1 per cento dei profitti commerciali, contro una media presente nell’Area dell’Euro del 42,8 per cento (16,3 punti in meno che da noi).
Per la Cgia oltre a pagare troppo, nell’ultimo anno il rapporto tra fisco e imprese è stato completamente rivoluzionato. Dopo l’introduzione della fatturazione elettronica che ha debuttato ad inizio anno, dallo scorso luglio è scattata una nuova scadenza per le partite Iva con volume d’affari superiore ai 400.000 euro. Ovvero, l’obbligo di memorizzazione e di invio telematico dei corrispettivi. Operazione che dal 2020 sarà estesa a tutte le attività economiche. Questo scenario evidenzia come il rapporto fiscale tra le aziende e l’Agenzia delle Entrate stia cambiando rapidamente, ancorché non vi siano sostanziali benefici in termine di riduzione delle tasse con altrettanta rapidità. Da quest’anno, inoltre, c’è un’altra grossa novità: i tanto criticati studi di settore sono stati sostituiti dagli Isa (Indicatori sintetici di affidabilità fiscale).
Un nuovo strumento che in fase di applicazione ha messo in gravi difficoltà gli stessi addetti ai lavori, come le associazioni di categoria e i commercialisti; figuriamoci gli imprenditori. Insomma, ci troviamo di fronte a un cambiamento epocale che rischia di tradursi, però, solo in un aumento dei costi legati alla burocrazia fiscale.
Se qualcuno non rispetta la scadenza di pagamento prevista per oggi, l’ordinamento tributario impone al contribuente una sanzione dell’1 per cento dell’importo da versare al fisco per ogni giorno di ritardo entro il 15° dalla scadenza. La percentuale sale al 15 per cento se il pagamento viene effettuato entro il 90° giorno dalla scadenza. Per omesso pagamento o per versamento effettuato dopo 90 giorni dal termine previsto per legge, la sanzione sale al 30 per cento dell’importo da versare all’erario. Indipendentemente dal ritardo, sono altresì dovuti gli interessi legali pari allo 0,8 per cento dell’importo da pagare. Va ricordato che le sanzioni possono essere fortemente ridimensionate usufruendo dell’istituto del “ravvedimento operoso”.
Ma un’altra giornata campale è alle porte per le imprese italiane: il prossimo 30 novembre (che essendo di sabato slitterà a lunedì 2 dicembre), vedrà il fisco battere cassa per ulteriori 28 miliardi di euro circa tra seconda (o unica) rata degli acconti Irpef, Irap e Inps. Le società di capitali, invece, pagheranno la seconda o unica rata dell’acconto Ires e Irap.