Investimenti nei più disparati settori che potrebbero rilanciare il settore dell’edilizia: ma sono tanti, tantissimi, i decreti attuativi che dovrenno regolamentare gli iter, ed è fortissimo il timore che ciò possa incidere – come del resto troppe volte è avvenuto in passato – sui tempi di realizzazione degli interventi.
Il “pacchetto” di misure per gli investimenti (quello contenuto dall’art. 8 all’art.53) stanzia sull’annualità 2020 risorse per quasi 700 milioni (solo per l’annualità 2020) ma prevede 12 provvedimenti (tra Dpcm, intese in conferenze istituzionali, dm ministeriali e interministeriali) necessari per mettere in moto la “macchina” degli investimenti infrastrutturali.
La “macchina” degli investimenti del disegno di legge di bilancio mette in moto, per investimenti infrastrutturali, la somma iperbolica di investimenti in infrastrutture – pari a 63,6 miliardi – di cui però solo 697 milioni circa appostati sul 2020 (non considerando in questo calcolo l’annualità 2020 del maxi-fondo per le amministrazioni centrali, in quanto non è ancora nota le risorse da riversare nell’edilizia e nelle costruzioni).
L’architettura finanziaria della nuova manovra prevede una serie di fondi destinati a diverse amministrazioni, centrali, territoriali e locali, per realizzare vari tipi di opere pubbliche o interventi manutentivi orientati prevalentemente alla sicurezza e alla sostenibilità. Gli interventi, da realizzare attraverso altrettante gare, sono però condizionati all’emanazione di provvedimenti attuativi, che in molti casi dovranno essere replicati per ogni annualità e che in alcuni casi richiedono l’intesa con le amministrazioni locali interessate.
L’apertura dei cantieri è pertanto condizionata alla capacità di pubblicare i provvedimenti entro i termini (ovviamente non perentori) previsti dallo stesso Ddl. Ecco, quali e quanti sono i provvedimenti previsti per ciascuna misura contenuta nel Ddl Bilancio che prevede investimenti in opere pubbliche.
Il riparto delle risorse del maxi-fondo centrale finanziato con 22,3 miliardi – di cui 685 milioni per il 2020 – avviene attraverso uno o più Dpcm su proposta del ministero dell’Economia, di concerto con i ministri interessati a valle di programmi settoriali presentati dai singoli dicasteri. Il decreto – o i decreti – devono essere adottati entro il 15 febbraio 2020. Ma se si individuano interventi che toccano materie di competenza di regioni o delle due province autonome, dovranno essere adottati «appositi decreti previa intesa con gli enti territoriali interessati, ovvero in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano».
Gli schemi di questi decreti devono essere trasmessi alle commissioni parlamentari competenti per materia, «le quali esprimono il proprio parere entro trenta giorni dalla data dell’assegnazione. Decorso tale termine, i decreti possono essere adottati anche in mancanza del predetto parere».
I tecnici parlamentari (ufficio studi del Senato e della Camera) rilevano a questo proposito (relativamente al testo del comma 4 dell’articolo 7) che non si capisce bene se il parere parlamentare è richiesto sugli schemi di Dpcm di riparto del fondo oppure solo sugli schemi dei decreti eventualmente resi necessari da interventi che toccano competenze regionali. Circa i tempi di attuazione del riparto, vale la pena di riproporre quanto ricordato dai tecnici parlamentari circa il precedente maxi-fondo, previsto dalla manovra di bilancio 2019 (commi 95-98 della legge 145/2019): a fronte della scadenza fissata al 31 gennaio 2019, il riparto è avvenuto con il Dpcm 11 giugno 2019, registrato alla Corte dei Conti il 12 luglio successivo e non ancora pubblicato in Gazzetta.