Una interessante inchiesta, pubblicata da Maurizio Caprino su Enti Locali & Edilizia, evidenzia il gap infrastrutturale del nostro paese ed evidenzia gli investimenti necessari per farvi fronte.
Occorrono 20 miliardi solo per gli interventi sulle autostrade di competenza Aspi: la trattativa con lo Stato non è semplice anche a causa dei nodi irrisolti legati a viadotti e gallerie.
Per le autostrade a pedaggio occorrono complessivamente quaranta miliardi. Se si volesse allargare l’inchiesta anche alle altre strade ed arterie di collegamento, la cifra diventerebbe incalcolabile. Sta in queste stime – che circolano tra tecnici qualificati e non sono mai state smentite – il default delle infrastrutture italiane del trasporto su gomma.
Un default di cui non è ben chiaro come sarà coperto, tanto da essere il convitato di pietra della trattativa Stato-Aspi (famiglia Benetton, più gli altri investitori in Autostrade per l’Italia) sull’ingresso di Cassa depositi e prestiti (Cdp) e altri soggetti, che segnerà di fatto una statalizzazione del maggior gestore autostradale del Paese (concessionario di metà della rete a pedaggio e come tale chiamato in prima battuta a preventivare lavori per 20 miliardi).
Proprio per questo ci sono segnali che lo Stato inizi a far passare sotto traccia il problema, dopo mesi in cui lo ha lasciato esplodere mediaticamente col caos gallerie e viadotti che ha paralizzato Liguria e dorsale adriatica Abruzzo-Marche.
I 40 miliardi servono innanzitutto per risolvere i problemi strutturali proprio di viadotti e gallerie. E qui affiorano le due criticità che contribuiscono a rendere difficile la trattativa Stato-Aspi, che non si chiude ancora nonostante siano passati oltre 40 giorni dall’annuncio di un accordo.
Gli ostacoli, infatti, stanno non solo nelle tecnicalità finanziarie, ma anche nelle risorse per manutenzione straordinaria della rete e nella manleva da responsabilità connesse a eventuali crolli futuri e danni agli utenti se controlli e lavori tornassero a causare paralisi (in Liguria, organizzazioni degli autotrasportatori hanno chiesto i danni a Mit e Aspi).
Sul fronte delle risorse, il piano economico finanziario di Aspi attualmente al vaglio del Ministero delle Infrastrutture prevede fino al 2038 (fine dell’attuale concessione) manutenzioni per 7 miliardi, più 3,4 di compensazioni. Può essere che parte delle manutenzioni finisca per essere coperta con una quota dei 14,5 miliardi previsti per investimenti, ma non è ancora chiaro come si arriverà ai 20 miliardi necessari, tanto più con il Governo che promette tagli tariffari.
Non si può escludere un intervento diretto o indiretto dello Stato, come in altri casi particolari (il più recente è stato, nel decreto Rilancio lo stanziamento per la messa in sicurezza sismica delle autostrade Roma-Abruzzo, gruppo Toto), anche perché parte dei problemi strutturali viene da difetti costruttivi (si veda la scheda a destra).
Qui s’innescano le manleve. Cdp le ha chieste per subentrare ad Atlantia e ancora oggi bisogna capire come delimitare le responsabilità. Veniamo da decenni di norme e prassi tanto opache da non far capire come s’incrociano il dovere del gestore privato di garantire la sicurezza strutturale (anche rispetto a difetti costruttivi non imputabili a lui) e il dovere del Mit di fissare quantomeno linee guida vincolanti. C’è questo tema, dietro polemiche ed esposti di inizio estate sul caos ligure.
Nel conto dei 40 miliardi ci sono anche le risorse necessarie all’adeguamento definitivo delle gallerie lunghe più di 500 metri alla direttiva europea antincendio (2004/54) e il completamento delle valutazioni di sicurezza sismica, con i conseguenti lavori.
Non di rado, vista l’età di molte strutture e il numero di problemi su tutti i fronti (anche di tracciato, con curve troppo strette per gli standard attuali), bisognerà valutare se ricostruirle completamente. Tutto ciò prescinde da chi sia il gestore: è esente solo chi ha in carico esclusivamente opere recentissime come le nuove autostrade lombarde.
Dove paradossalmente i controlli funzionano meglio: il concedente (Cal, una spa in cui la Regione ha una quota paritetica con l’Anas) vi dedica 40 tecnici, mentre per mesi l’attività di vigilanza più importante del Mit sul resto della rete è stata delegata a un solo ingegnere, Placido Migliorino, noto nelle cronache come «superispettore» e «mastino».
L’altro paradosso è che proprio l’Anas non ha mai reso note cifre precise sul fabbisogno per risistemare la rete che essa stessa gestisce e che comprende pure strade ormai centenarie. Pochi anni fa il Mit ha speso circa 2 milioni sulla rete Anas per ispezioni su gestione e sicurezza (come previsto dalla direttiva europea 2008/96), ma non se ne conoscono i risultati.
Se la realtà è questa, è evidente che lo Stato non può affrontarla con lo stesso piglio mostrato nei mesi scorsi in Liguria, Abruzzo e Marche. Così ora un gruppo di esperti del Consiglio superiore dei lavori pubblici è al lavoro su linee guida che omogeneizzino i criteri d’ispezione sulla sicurezza strutturale delle gallerie, come prevede il decreto Rilancio.
Ci si attendono parametri meno prudenziali di quelli adottati da Migliorino nell’emergenza. Un segnale lo hanno dato il 20 luglio il capo del dipartimento Infrastrutture del Mit, Pietro Baratono, e il direttore dell’Ansfisa Fabio Croccolo: in una nota, hanno parlato della necessità di nuove norme per determinare «livelli di rischio accettabili» su costruzioni, infrastrutture e sistemi di trasporto e sistemi di gestione dei relativi rischi.
Va trovato un equilibrio tra necessità di intervenire e impossibilità di farlo subito ovunque, sperando che non siano le emergenze a decidere, come sinora. E non perdendo di vista gli sviluppi delle inchieste nate dal crollo del Ponte Morandi: un filone porta dritto al Mit, un cui dirigente presenziava di diritto ai Cda di Aspi ma pare non abbia mai riferito ai suoi superiori, anche quando si parlava proprio di gestione dei rischi.