In arrivo la nuova direttiva europea sull’efficienza energetica degli immobili. Secondo gli ultimi dati, su 12,2 milioni di edifici residenziali, oltre 9 milioni non sono in grado di garantire le performance energetiche indicate e soprattutto nei tempi brevi previsti. Dovrebbero essere ristrutturate più di due case su tre.
L’Unione internazionale della proprietà immobiliare (UIPI) – in cui l’Italia è rappresentata dalla Confedilizia – sta seguendo da oltre un anno e mezzo i lavori della Commissione, del Consiglio e del Parlamento europei sul progetto di rifusione della direttiva sull’efficienza energetica nell’edilizia, contenuto nel pacchetto “Fit for 55”.
Nel testo della proposta di direttiva, ora all’esame del Parlamento europeo, sono presenti una serie di norme che dispongono interventi obbligatori sugli immobili finalizzati a far scomparire quelli con ridotte prestazioni energetiche, secondo una tempistica molto ravvicinata “che contrasta in modo netto con le peculiarità del patrimonio immobiliare italiano (risalente nel tempo e di proprietà diffusa, sovente di tipo condominiale)”, sottolinea Confedilizia in un comunicato.
In particolare, tra le proposte di compromesso che saranno poste all’esame della Commissione energia del Parlamento europeo il prossimo 9 febbraio, gli edifici residenziali e le unità immobiliari dovranno raggiungere entro il 1° gennaio 2030 almeno la classe energetica E ed entro il 1° gennaio 2033 almeno la classe di prestazione energetica D.
“Se la proposta di direttiva non dovesse essere modificata nella parte relativa alle tempistiche e alle classi energetiche, dovranno essere ristrutturati in pochi anni milioni di edifici residenziali. Senza considerare che in moltissimi casi gli interventi richiesti non saranno neppure materialmente realizzabili, per via delle particolari caratteristiche degli immobili interessati. Inoltre, i tempi ridottissimi determineranno una tensione senza precedenti sul mercato, con aumento spropositato dei prezzi, impossibilità a trovare materie prime, ponteggi, manodopera qualificata, ditte specializzate, professionisti ecc.”, avverte Confedilizia.
“Nell’immediato, poi, l’effetto sarà quello di una perdita di valore della stragrande maggioranza degli immobili italiani e, di conseguenza, un impoverimento generale delle nostre famiglie.
Per migliorare le prestazioni energetiche di milioni di edifici, è necessario porsi obiettivi realistici. Occorrerebbe, soprattutto, agire attraverso misure incentivanti e non imponendo a Paesi diversissimi fra loro obblighi pensati dietro le scrivanie dei palazzi di Bruxelles. Si è scelta, invece, la strada della coercizione, senza neppure prevedere, in capo agli Stati membri, un’adeguata flessibilità per adattare le nuove norme ai contesti nazionali”.
Confedilizia “è riuscita in questi giorni – dopo averlo fatto nel dicembre del 2021 (quando si riuscì a far eliminare dalla bozza di direttiva il divieto di vendita e di affitto degli immobili non conformi) – a portare il tema all’attenzione dei media. Ora occorre agire. Ci appelliamo al Governo e alle forze politiche affinché venga svolta ogni possibile azione per far sì che l’imminente fase finale di esame della bozza di direttiva possa condurre a ripensare un’impostazione che per l’Italia avrebbe conseguenze devastanti”.
Su 12,2 milioni di edifici residenziali, oltre 9 milioni non sono in grado di garantire le performance energetiche indicate dalle nuove direttive e soprattutto nei tempi brevi previsti. Con il blocco dei crediti, le incertezze sui bonus e le continue modifiche normative, si dubita fortemente che si possano centrare sia gli obiettivi prefissati dalla direttiva Ue, da rivedere comunque perché eccessivamente stringenti e con tempi troppo brevi, sia qualunque altro progetto di efficientamento energetico. Grazie al Superbonus 110%, il grande processo di riqualificazione era finalmente iniziato e solo da poco erano partiti i cantieri dei condomini e invece, adesso, in Italia dovrebbero essere ristrutturate più di due case su tre. Un cambiamento di certo non da poco e difficilmente sanabile senza una politica industriale di ampio respiro, con un sistema strutturale di incentivi mirati a coinvolgere la più ampia platea possibile.
Un altro punto inopportuno della direttiva anche l’introduzione del nuovo parametro di calcolo della prestazione energetica degli edifici perché non sarà più valutato, come oggi, solo il fabbisogno energetico ma anche il consumo dell’energia. Un metodo dunque troppo influenzato dal comportamento degli utenti finali e sarebbe opportuno invece mantenere un approccio legato solo al fabbisogno del fabbricato.