Con la sentenza n. 7433/2025, il TAR Lazio torna a delineare con precisione i confini invalicabili della sanatoria edilizia in presenza di vincoli paesaggistici, riaffermando l’interpretazione rigorosa dell’art. 32, comma 27, della legge n. 326/2003. Il provvedimento, emesso in un contenzioso avente ad oggetto il diniego di condono per un manufatto commerciale realizzato su area vincolata, chiarisce nuovamente che la data di imposizione del vincolo rappresenta il discrimine giuridico assoluto per la sanabilità o meno dell’abuso.
Il caso: abuso edilizio posteriore all’imposizione del vincolo paesaggistico
La vicenda trae origine da una domanda di condono edilizio ex D.L. 269/2003, convertito con modifiche nella legge 326/2003 (cosiddetto “terzo condono”), presentata nel 2004 per un locale commerciale di 200 mq, realizzato abusivamente nel 2002. L’area interessata risultava vincolata ai sensi del Piano Territoriale Paesistico Regionale (PTPR) Veio-Cesano, approvato definitivamente nel 1998.
Il Comune di Roma ha respinto l’istanza in quanto l’intervento edilizio ricadeva in un’area già sottoposta a vincolo paesaggistico alla data dell’abuso. Secondo quanto previsto dall’art. 32, comma 27, citato, non è ammessa alcuna forma di sanatoria per interventi di nuova costruzione su immobili vincolati, salvo si tratti di opere riconducibili a manutenzione straordinaria, restauro o risanamento conservativo, il che non era il caso.
I motivi del ricorso: preavviso di rigetto e interpretazione del vincolo
Le ricorrenti hanno impugnato il diniego deducendo, in particolare:
– la violazione dell’art. 10-bis della legge 241/1990 per omessa valutazione delle controdeduzioni al preavviso di rigetto;
– una erronea qualificazione temporale del vincolo, ritenuto (a torto) successivo alla realizzazione dell’opera;
– un presunto difetto assoluto di motivazione del provvedimento impugnato, ritenuto generico, illogico e affetto da disparità di trattamento.
Tuttavia, la documentazione acquisita ha confermato che il vincolo paesaggistico era pienamente efficace già dal 1998, dunque anteriore all’abuso edilizio del 2002. Inoltre, il TAR ha rilevato che le osservazioni presentate in sede procedimentale erano state valutate, ma non contenevano elementi idonei a incidere sull’esito del procedimento, trattandosi di atto vincolato.
Il principio ribadito: insuscettibilità assoluta di sanatoria per gli abusi “maggiori” su aree vincolate
Il Collegio ha confermato che gli interventi di nuova costruzione in aree sottoposte a vincolo paesaggistico antecedente all’abuso sono radicalmente insanabili, indipendentemente dalla compatibilità urbanistica o da eventuali deroghe contenute negli strumenti pianificatori.
L’automatismo preclusivo discende non solo dalla normativa statale (legge 326/2003), ma anche da quella regionale: la L.R. Lazio n. 12/2004 rafforza tale principio escludendo il rilascio del condono per immobili vincolati, salvo nei rari casi in cui vi sia conformità urbanistica e il vincolo sia successivo.
L’assenza di margine discrezionale da parte della P.A. fa sì che eventuali vizi procedimentali non assumano rilevanza invalidante, alla luce dell’art. 21-octies, comma 2, L. 241/1990: quando un provvedimento non avrebbe potuto avere contenuto diverso, la sua legittimità non può essere inficiata da meri vizi formali.
Implicazioni operative: cosa cambia per i professionisti del settore
Questa pronuncia ribadisce la necessità, per i tecnici e i legali incaricati della redazione di istanze di condono, di verificare con rigore la natura e la tempistica dei vincoli paesaggistici. Le istanze presentate in assenza di tali verifiche rischiano di tradursi in dinieghi inevitabili, con ulteriore aggravio di spese per i committenti.
Inoltre, per le Pubbliche Amministrazioni, la sentenza rafforza il principio per cui, in presenza di vincoli e abusi non sanabili, l’istruttoria può essere ridotta al minimo tecnico-giuridico, trattandosi di atti privi di contenuto discrezionale.